Descrizione
La Foresta (attualmente 1.300 ettari) sorse per difendere Bari dai ricorrenti disastri alluvionali. Settant'anni or sono furono completati i lavori di impianto della Foresta "Mercadante", divenuta, ormai, "il polmone di Bari". In questi ultimi tre decenni, molti progressi sono stati registrati, ma il più importante di tutti è stato la riconferma dell'interesse turistico, intimamente legato all'incremento della foresta che, con le assidue cure ed i pazienti lavori di tre generazioni, è diventata la maggiore attrattiva cassanese e merita, perciò, di essere meglio conosciuta ed illustrata.
Tutti sanno che ad occidente di Bari vi era la foce del torrente Picone che si impaludava nella zona tra la città e la penisoletta di San Cataldo; palude che agli inizi del '500 la Duchessa di Bari, Isabella Sforza-d'Aragona, cercò inutilmente di bonificare, facendo aprire opportuni sbocchi sul mare. Il torrente, serpeggiando attraverso i territori di Cassano, Sannicandro, Bitritto, Carbonara e Bari, sfociava nel centro dell'insenatura tra Bari e San Cataldo, dove aveva termine il muro della cinta daziaria eretto dopo il 1868 all'imbocco della via Nazionale per Foggia e Napoli. Il suo letto, lungo circa 35 Km, è costituito da una lunga successione di lame scavate nella crosta terrestre, ricche di prosperi vigneti. Ma l'incremento edilizio del XX secolo lo ha quasi completamente cancellato. La gravissima piena del 1567 cancellò tutte le opere eseguite nel tempo sotto una immensa coltre di fango e detriti. Così il "pantano", divenuto più vasto, insidioso ed insalubre che mai, prese il nome di "Marisabella", per ricordo dello sfortunato tentativo della Duchessa Sforza.
L' alluvione del febbraio 1905 dilagò a Bari causando 18 morti e migliaia di disastri e senza tetto che richiamarono l'attenzione delle competenti autorità. Il flagello si ripeté, con nuovi elevatissimi danni ed altre vittime, nei giorni 3 e 5 settembre 1915; ma c'era la tremenda guerra con le sue pressanti necessità, ed il nuovo disastro diede origine solo a lunghe polemiche ed insufficienti mezze misure con le quali si tirò avanti fino al tragico 6 novembre 1926, quando un nubifragio mai visto, dopo aver spazzato l'inadeguata trincea di sbarramento, invase tutto il lato sud-occidentale del capoluogo, sommergendolo sotto una massa fangosa alta fino a 60 cm. e, purtroppo, con altri 19 morti e 50 feriti!
Il governo dell'epoca, prontamente prese a cuore la questione sotto tutti i suoi aspetti sociali, geografici, meteorologici ed economici, e sulle risultanze degli studi dei vari tecnici interessati, venne decisa la deviazione dell'infausto torrente. Con provvida sollecitudine, la Cattedra di Agricoltura di Bari e l'Ispettorato Agrario, d'intesa con il Comando del Corpo Forestale, approntarono il piano di esproprio del regio decreto 30-12-1926 n. 3287: "Provvedimenti da adottare per il bacino del torrente Picone, in dipendenza dell'alluvione nell'abitato e nella provincia di Bari, confinante a Nord con la provinciale Cassano-Altamura, ad Est con la località "Femmina Morta" ad Ovest con quelle di "Chiummo" (cioè piccolo) e "Monsignore".